Dalla Western University, istituzione canadese, arriva una bella notizia. Una tecnologia innovativa riesce a recuperare i dagherrotipi rovinati. I risultati sono sorprendenti.
Facciamo un passo indietro. La dagherrotipia fu la prima tecnologia che a metà dell’Ottocento, precisamente nel 1839, permise di realizzare un’immagine fotografica. Seppure in esemplare unico. Il procedimento fu inventato da Louis Jacques Daguerre, da cui prese il nome. I suoi esperimenti prevedevano l’uso di una lastra di rame sulla cui superficie era steso uno strato di ioduro d’argento sensibile alla luce. Dopo aver esposto la lastra, lo sviluppo avveniva attraverso vapori di mercurio che facevano emergere le aree esposte alla luce. Per eliminare lo ioduro d’argento e fissare l’immagine, si passava sulla lastra il tiosolfato di sodio.
Nel corso degli anni, furono scattati migliaia e migliaia di dagherrotipi: molti sono giunti fino a noi. Molti hanno subito un forte degrado nel corso del tempo.
La Western University, università canadese, ha inventato un procedimento in grado di recuperare questo patrimonio di immagini, altrimenti destinato a scomparire. Grazie all’impiego di tecnologie innovative. Il metodo consente di riportare in vita anche dagherrotipi molto rovinati, quasi invisibili all’occhio umano.
I ricercatori sono partiti dal mercurio, cioè dalla sostanza che sviluppava l’immagine del dagherrotipo. Hanno utilizzato un microscopio a scansione a raggi X per analizzare le lastre e rilevare le particelle di mercurio ancora esistenti. Il fascio di raggi X è di appena 10x10micron, per dare l’idea un capello è 70 micron. Una volta rilevate le particelle, attraverso di esse, sono riusciti a ricostruire l’immagine.
Il processo è complesso e ha richiesto per ogni dagherrotipo una scansione di 8 ore. Grazie al sistema i ricercatori sono riusciti a ricreare immagini oramai praticamente invisibili sulle lastre.
Un vero miracolo, potremmo dire, ottenuto grazie all’impiego delle più moderne tecnologie. Quanto ottenuto ha sorpreso gli stessi ricercatori. “…L’immagine non era per niente visibile sulla lastra, sembrava inghiottita dal tempo…” racconta Madalena Kozachuk, studentessa di dottorato nel dipartimento di chimica dell’università canadese, che ha lavorato alla ricerca con la supervisione di Tsun-Kong (T.K.) Sham, della Western Research Chair.
QUI la ricerca nel dettaglio