La Bibbia di Gutenberg e i selfie degli smartphone, passando per Daguerre e Talbot
Maitre Jacques Legrand, di Parigi, guardava, con sopracciglio inarcato, quello strano libro. Era il 1455.
L’aveva da poco ricevuto da un collega tedesco. Un libro meccanico, s’era trovato a pensare, con una scrittura che nulla doveva alla mano dell’uomo. Maitre Jacques era un rinomato specialista dell’arte che, come aveva poetato Dante, “alluminar è detta in Parisi..”. Dalla sua rinomata bottega uscivano libri, giudiziosamente copiati in sontuosa grafia e ornati da miniature. Copiare a mano i libri era l’unico modo per replicarli, aumentarne il numero di copie in circolazione e di conseguenza, diffondere il sapere. Almeno tra la gente colta, quella che sapeva leggere. Quella che poteva permettersi la cifra, esorbitante per la piccola gente, di un libro. E adesso un tedesco, un certo Gutenberg di Magonza, affermava di avere inventato un modo per replicare, più velocemente e a minor costo, i libri. Brutte, bruttissime copie – considerava Maitre Jacques - dei preziosi incunaboli che uscivano dalla sua bottega. Addirittura, il tedesco, assieme a certi suoi colleghi, Fust e Schoeffer, aveva avuto l’ardire di copiare, “stampare” come diceva, la Bibbia. Maitre Jacques, dopo un’ultima occhiata sprezzante, gettò in un angolo della bottega quel obbrobrio.
Non aveva capito. Quei meccanici caratteri mobili erano l’inizio di una rivoluzione che avrebbe portato la sapienza anche nelle case della gente piccola.
Buona per pittori falliti, criticarono nel 1839 gli artisti del pennello l’invenzione di un certo Daguerre. Un buon ritratto non si poteva certo ottenere con un mezzo meccanico. Un buon ritratto - dicevano - era opera della mano dell’artista. Richiedeva la sua cultura, la sua pazienza, la sua abilità, il suo tempo. Costava molto un ritratto dipinto. Il popolo minuto non poteva permettersi un ritratto fatto a mano, un paesaggio, una natura morta. Con l’invenzione di Daguerre e poi, di Talbot, tutto cambiò. Un incolto salumaio poteva aspirare a un ritratto. Guardato con sufficienza dai paludati “artisti”, quelli che esponevano nei Saloni di pittura. Sappiamo com’è andata a finire. Di Maitre Jacques Legrand e degli artisti del pennello dei Saloni si è persa memoria.
Oggi abbiamo gli “Artisti Fotografi”. Quelli che guardano, con il sopracciglio doverosamente inarcato, i nuovi modi della fotografia. Intanto la macchina da guerra del digitale conquista, sempre più, nuovi e gioiosi spazi. Ragazzi: facciamoci un bel selfie. La cultura, quella viva, quella vera, quella capace di generare nuovi linguaggi, nuove interpretazioni del mondo non va a sciare sulle esclusive neiges d’antan. O, per dirla con Nell Kimball maitresse americana, non si perde nel ricordo delle chiappe più rosa del passato. E.P.