Panda e fotografi, Trilussa e Dario Fo, senza Isabella e le Tre Caravelle. Dopo anni incontro una collega. Collaborava a un mensile che dirigevo. Una brava fotografa che, oggi, campa la vita
con altro mestiere. Però non ha abbandonato la fotografia. Continua a praticarla per passione. Cerca storie e le racconta per immagini. Ha l’intelligenza di non andare dove portano le mode. Angelo Cozzi, bravissimo e dimenticato fotogiornalista, da ragazzo fece gavetta presso l’agenzia Farabola. Erano gli anni Cinquanta del secolo passato. Quando il lavoro stagnava e non accadevano fatti e fattacci, Farabola gli metteva in mano una Rollei e lo mandava per le strade a fotografare “scenette”. Non le chiamavano ancora “street photography”. Gli scatti a disposizione erano 12: quelli offerti da un rullo formato 120. Non bastava scattare alla meno peggio: bisognava pensare, prima. Altrimenti si sprecava pellicola. E allora lo sentivi Farabola! Ai quei tempi andavi a bottega e imparavi facendo. C’era del metodo in quella follia.
Per migliorare le mie immagini – confida la collega – mi sono iscritta a un corso di storytelling fotografico. “ Tempo e denari sprecati…” sibila al ricordo che le brucia ancora. Chi sa fa, chi non sa insegna. Fotografai la perentoria affermazione su uno striscione sessantottino. Nell’orticello della fotografia non sono fioriti cento fiori. I professionisti dell’immagine, i fotografi che vivono del loro mestiere, non campano bene. Anzi. Come si diceva agli inizi del Novecento dei Garibaldini: ogni anno ne scompare qualcuno. Il Panda ha trovato nel WWF chi gli garantisce la sopravvivenza. In fotografia pullulano corsi e workshop e street photographer e storyteller. E gli allievi? Domando. Con il ricordo dei quattrini buttati nel suo corso, la collega risponde alla Trilussa: se grattano. Poi, più addolcita, con un inconscio ricordo di Dario Fo, mi fa notare che storyteller, in inglese, significa anche cacciaballe. E.P.