Una foto sapientemente costruita, che si rifà a un’iconica immagine del Sessantotto francese, che a sua volta guarda a un dipinto di Delacroix. La propaganda premiata ai Sony Awards.
Parlar male di Garibaldi è un modo di dire. Cerchi la spiegazione nel dizionario e trovi: “Parlar male o dire verità spiacevoli su cose che possono offendere persone, istituzioni, idee o concetti unanimemente considerati sacri e intoccabili”. Criticare il Sony World Photography Awards, come altri premi fotografici internazionali, è come parlar male di Garibaldi. Guardi le immagini di premiati e consacrati delle ultime edizioni e scopri un denominatore, comune e immutabile. Immagini belle, bellissime, d’effetto. Niente da eccepire. Tutti sono d’accordo. Quando osserviamo una bellissima rosa, ancora con la giusta goccia di rugiada sui petali, non pensiamo forse: è tanto bella da sembrare finta? E quando osserviamo nuovamente una rosa, ma questa volta sapientemente finta non pensiamo forse: è tanto bella da sembrare vera? Le fotografie del Sony Awards e di altri famosi premi internazionali, sono la rosa. Finta o vera? Lo smemorato di Collegno: Bruneri o Canella? Canella o Bruneri?
Il dubbio ti viene sempre con la categoria del reportage. Forse perché quel genere l’hai frequentato e anche nel tuo immaginario ci sono icone che tutti i fotografi vorrebbero rifare. E rifanno. Archetipi immutati. Ricordate la foto del Sessantotto francese, quella ragazza in corteo, sulle spalle di un compagno? Era il 13 maggio 1968. Caroline de Bendern, indossatrice inglese della nobile stirpe dei Windsor è con gli studenti alla Sorbona. Agita una bandiera del Viet-Nam e, come dichiarerà nel 1997, visto il fotografo che la riprendeva, si atteggiò, nel miglior modo, a favore di camera. Marianne di Delacroix, in versione moderna. E fu, nei mesi, negli anni successivi, un’inflazione di Marianne sventolanti bandiere. Un corto circuito mediatico. Chi manifesta ha in mente quell’immagine e si atteggia. Chi fotografa ha in mente quell’immagine e la vuole rifare. “Pupi siamo, caro signor Fifì…” ci ricorda il signor Ciampa ne “Il berretto a sonagli” di Pirandello.
Mustafa Hassona è un fotoreporter che vive a Gaza e lavora per l’agenzia turca Anadolu, distribuita da Getty Image. Ha vinto il terzo premio, nella sezione Documentary, con una Marianna declinata al maschile. Un manifestante palestinese fotografato il 22 ottobre 2018 al confine tra Gaza e Israele. Taglio di luce giusta, punto di ripresa un po’ dal basso per meglio far risaltare la figura, soggetto come un modello di Vogue, doverosamente a petto nudo a sfidare il nemico, nell’atto di tirare una pietra con una fionda. Una fionda non come quelle che ci facevamo noi, bambini di campagna, con un ramo d’albero tagliato a Ypsilon e una camera d’aria di bicicletta. Questa è la versione moderna della Frombola, in dotazione ai frombolieri delle Legioni Romane. Li troviamo scolpiti anche sulla Colonna Traiana.
Era un’arma potente, con una gittata di circa 300 metri e proiettili capaci di bucare un elmo. Un’arma che richiede abilità e concentrazione. Difficile da usare con l’altra mano impegnata a sventolare una bandiera a favore di camera.
Tanto vera da sembrare finta? Tanto finta da sembrare vera? Cos’altro ci dice l’immagine? Che è ben composta, rispettando la canonica regola dei terzi; che la bandiera ha colto il refolo di vento giusto per essere ben spiegata; che la fionda è colta nel momento perfetto, sovrapposta alla bandiera; che il soggetto è mancino, dato che tira con la sinistra. Certo, avesse tirato con la destra la bandiera avrebbe coperto la fionda, forse avrebbe proiettato una spiacevole ombra sul viso del soggetto.
Altro da notare? I due fotografi/giornalisti con giubbotti anti proiettile e, più lontani, due manifestanti che guardano, curiosi, il set della ripresa. “Pupi siamo, caro signor Fifì..” Ma chi è il puparo?
E.P.