Noi vogliamo tanto bene alla Madre Superiora, tra le rose e le viole pure un giglio ci sta bene. Lo cantavano, una volta, i bambini delle scuole religiose. Il ritornello si potrebbe adattare a recenti fatti e misfatti della fotografia.
E parafrasare: noi vogliamo tanto bene alla Foto Superiora ma tra smartphone e Photoshop pure un selfie ci sta bene.
Un non sense, un Humpty Dumpty non al di là dello specchio, ma al di qua dell’obiettivo.Tanto per raffreddare la temperatura. Sempre bollente nelle radiose estati delle scontente dispute fotografiche. Iniziò un solerte fotografo il quale osservando, un po’ troppo da vicino, una stampa di McCurry s’accorse di una malandrina gamba che sfumava in un palo. Maldestro lavoro di post produzione. Dopo qualche tempo, ecco Huawei aggiungere, suo malgrado, un carico da dodici. La fotografia, utilizzata come testimonianza della qualità delle immagini realizzate con un suo smartpho non era stata scattata con quel telefonino, ma con una reflex professionale. Fatti e misfatti della fotografia. Come ne sono sempre accaduti. Dagli ottocenteschi ectoplasmi materializzati durante le sedute spiritiche di Eusapia Palladino, alle Fatine inglesi di Cottingley. Queste ebbero l’avallo, nientemeno, che di Conan Doyle, l’inventore di Sherlock Holmes. Che la fotografia non menta è bufala dura a morire. Quando, poi, è usata per vendere un prodotto, magari con l’avallo di testimonial, ambassador, guru, maestri con la maiuscola, la diffidenza è obbligo. Chiedereste all’oste se il suo vino è buono? E.P.