In principio erano i pittori. Gli unici a saper fare ritratti. Se volevi che i posteri, o una persona che abitava lontano, conoscessero il tuo viso, dovevi rivolgerti a un pittore. Questo fermava
il tuo aspetto in un quadro e chi, lontano nel tempo o nello spazio, l’avesse guardato, avrebbe saputo com’era la tua faccia, come vestivi. Il pittore si faceva pagare. Più era bravo più era caro. Farsi ritrarre al tempo del pennello era faccenda da Lorsignori: re, nobili, ricchi.
Inventare un sistema, un robot diremmo oggi, che automaticamente facesse il tuo ritratto era lo scopo di molti. Riuscì per primo Daguerre, con i suoi dagherrotipi. Erano piccole lastre, in unico esemplare, che sapevano più della miniatura, ottenute con un pericoloso processo ai velenosi vapori di mercurio. Non era ancora l’immagine per tutti. La strada per rendere disponibile a tutti il ritratto, per la sua democratizzazione diremmo oggi, la intraprese Fox Talbot. Erano gli anni quaranta dell’Ottocento. Iniziava il trionfale cammino del processo negativo/positivo ai sali d’argento. In una manciata d’anni fiorirono, in tutto il mondo, migliaia e migliaia di studi fotografici. L’automazione del ritratto ne ridusse il prezzo. Alcuni pittori persero il lavoro ma si crearono migliaia di posti di lavoro per una nuova categoria di lavoratori: i fotografi. Il robot che sostituiva il pittore ritrattista, ma anche il pittore paesaggista e quello di nature morte, si basava su una parte meccanica, la fotocamera e una parte chimico/fisica, l’emulsione sensibile stesa su di un supporto. Già nel 1888 Eastman Kodak proponeva una fotocamera di largo consumo con il famoso slogan “Voi premete il pulsante, noi faremo il resto”.
La storia non tramanda il nome di chi inventò l’autoscatto: dispositivo che, oggi, nei libretti d’istruzione delle fotocamere, è chiamato timer. Premi il pulsante e, prima che scatti l’otturatore, passa una manciata di secondi. Quelli che consentono di metterti in posa davanti all’obiettivo. L’inventore dell’autoscatto andrebbe celebrato nel Pantheon della fotografia assieme ai grandi. Già all’epoca della pellicola soddisfaceva la voglia di autoritratto, oggi lo chiamiamo selfie, che è in tutti quelli che giocano con l’immagine: pittori o fotografi che siano. Anche i pittori indulgevano all’autoritratto. Poi venne il digitale e il robot automatico, pittore di ritratti e paesaggi, si perfezionò ancora e ancora e ancora fino a trasformarsi in uno smartphone. La fotografie nacque… oggi. E Nadar e Nièpce e Arago e Talbot stanno a guardare: la generazione dei selfie ha raggiunto il loro scopo. E dopo? Questa è un’altra storia, avrebbe risposto Kipling. E.P.