Un nome sconosciuto prima d’ora. Grazie alla figlia Asya, le foto scattate da Masha Ivashintsova a Leningrado tra il 1966 e il 1999 sono oggi visibili a tutti. Nuova Vivian Maier? Non proprio.
Sono gli anni di Breznev, rimasto al potere fino al 1982 e sostituito dapprima da Cernenko e quindi da Andropov. Due meteore che aprirono la strada a Gorbacëv nel 1985. Anni ancora molto duri per l’Unione Sovietica, dove la cultura era considerata un nemico e i dissidenti che non si allineavano al Partito, erano emarginati, osteggiati e sovente imprigionati o spediti in un ospedale psichiatrico.
A Leningrado, oggi San Pietroburgo, Masha Ivashintsova faceva parte del movimento culturale underground. I suoi punti di riferimento, i suoi autori preferiti nelle varie arti, ma anche i suoi amanti, sono tre personaggi del panorama culturale dell’epoca: un fotografo, Boris Smelov; un poeta, Viktor Krivulin; e un linguista, Melvar Melkumyan. Quest’ultimo diventerà il padre di Asya.
Una vita intensa quella di Masha, divisa fra tre uomini che, scrive la figlia, amava profondamente: “…Il suo amore per questi tre uomini, che non poteva essere più diverso, ha definito la sua vita, l'ha consumata completamente, ma l'ha anche divisa. Credeva sinceramente di essersi impallidita accanto a loro e di conseguenza non ha mai mostrato le sue opere fotografiche, i suoi diari e poesie a nessuno durante la sua vita”.
Non fu una vita facile quella di Masha. L’idea dominante, del regime sovietico, era quella di “normalizzare” le persone, di costringerle in strette regole che erano quelle del comunismo. Come molti altri Masha finì più volte in ospedali psichiatrici. Non fu solo pudore o mancanza di stima nel suo lavoro probabilmente ciò che convinse Masha a non mostrare le immagini. I fotografi all’epoca non erano ben visti, a meno che non fossero al soldo delle autorità. E quindi strumenti di propaganda. Chi usciva dal seminato rischiava grosso.
La maggior parte delle immagini sono state sviluppate solo dopo la sua morte, avvenuta nel 2000 a soli 58 anni, a causa di un cancro. La figlia, durante la ristrutturazione della casa di San Pietroburgo, ha ritrovato quei rullini e ha deciso di svilupparli, di scoprire anche questo lato di sua madre.
Le immagini, ovviamente tutte in bianconero, raccontano la Leningrado di quegli anni. Sono fotografie che riproducono la quotidianità, ma anche la vita culturale di una città rimasta per decenni sotto un pesante regime repressivo. Attraverso le immagini possiamo vedere la vera Leningrado, quella raccontata da una donna che non voleva fare propaganda, ma mostrare la vita reale. Quella che le scorreva ogni giorno davanti agli occhi. In netto contrasto con quanto avveniva, invece, con le immagini di regime. La stessa visione la ritroviamo nelle immagini che Masha realizzò in altri paesi dell’Impero Sovietico, dall’Armenia alla Georgia.
Asya ha già esposto le immagini in due importanti mostre a New York e in Polonia. Speriamo arrivino presto anche in Italia.
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