Ci siamo conosciuti in una birreria di Colonia. Eravamo in Germania per Photokina, la fiera biennale della fotografia. Lui non era venuto per scoprire nuove fotocamere e obiettivi
ma per esplorarne l’Armonia Nascosta: immagini latenti - perdonate, ma non mi sottraggo alla battuta - davanti alle quali passiamo senza vederle. Distratti dalla foresta non vediamo l’albero. Con opera maieutica Giorgio lo svela. Maieutica, termine della filosofia greca, non casuale. Vedremo più avanti.
Il suo nome è Giorgio Di Maio ed è architetto, da qualche anno prestato, a tempo pieno, alla fotografia. Vorrebbe diventasse la sua attività principale. Non so se, in futuro, leggeremo il suo nome nei libri di fotografia. Nei cataloghi di prestigiose gallerie fotografiche. Glielo auguro. Lo merita.
In quella birreria e dopo, non abbiamo parlato di fotografia ma di pittura, architettura, anche di filosofia. Non è di quei fotografi che ripetono la solita banalità del mettere testa, cuore e occhio sulla stessa linea di tiro. Comportamento più consono a un cecchino, che a un fabbricatore d’immagini. C’è stata empatia. Da subito. Galeotta fu quella sua parlata napoletana, così bella quando è bella.
Definire Giorgio Di Maio fotografo è riduttivo. Chiamarlo artista lo trovo offensivo. Il termine è stanco e banale, inflazionato dall’uso di inconsapevoli recensori di mostre ed eventi fotografici. Tutto scorre, tutto è in continuo movimento. Lo affermava già il greco Eraclito duemilacinquecento anni fa. Poi vennero i moderni fisici e videro che aveva ragione: anche il microcosmo infinitesimale è tutto uno scorrere, un muoversi ciclico, ripetitivo, forse finalizzato.
Giorgio s’immette nel flusso d’immagini che s’affollano davanti ai nostri occhi. Ne coglie particolari che svelano un’interna armonia. Ed estrae immagini di rigorosa composizione e campiture di colori. Creazioni non casuali, come quelle di chi ha orecchiato mode e modi e si propone come autore, mentre è pervicace imitatore. Il mondo della fotografia, quella sedicente autoriale, ne è affollato.
Giorgio è persona “imparata” e le sue armonie sono frutto di ricerca consapevole: estetica e filosofica. Estetica quando discute di Frank Lloyd Wrigth, di Mondrian, dei Cubisti, di De Chirico. Filosofica quando, aristotelicamente, distingue tra “poìesis” agire e “pràxis”fare.
“Combattimento per un’immagine” era il titolo di una bella mostra, tenutasi a Torino negli anni Settanta del secolo passato. Esplorava i continui scambi tra arti visive e fotografia. Le immagini di Giorgio sono il risultato di un proficuo combattimento tra architettura, pittura, fotografia e anche filosofia. Le composizioni, i colori, le geometrie svelate dalle sue immagini non sono costruite: sono già lì, davanti ai nostri occhi. Le guardiamo e non le vediamo. Giorgio le svela e, per questo, le crea.