Walter Cronkite fu il più noto giornalista che coprì la guerra del Viet-Nam. Lavorava per la CBS e ogni sera entrava nelle case degli americani, e non solo, con servizi da Saigon, Da-Nang
dovunque accadesse qualcosa meritevole di essere raccontato. Qualcosa che facesse meglio capire quella guerra. Non puntava al sensazionalismo, ma al racconto senza fronzoli. Non parlava alla pancia ma alla testa degli ascoltatori.
Ricordo un servizio. Un paio di minuti durante i quali non succedeva niente di eccezionale. Una pattuglia di marines sotto il tiro di un cecchino, in una piantagione di alberi della gomma. Si udivano i suoi spari cadenzati. Ben addestrato, studiava il bersaglio e non sprecava munizioni. Un marine spiegava tutto ciò a Cronkite. Niente sangue, niente esplosioni catastrofiche, niente morti. Eppure quei due minuti spiegavano meglio quella guerra di una catasta di morti ammazzati.
Cronkite era lì, seguiva quella guerra da tempo. Il suo non era giornalismo di seconda mano. Quello di molti corrispondenti che, dalla stanza del loro albergo mandavano il servizio, corredato da foto drammatiche non scattate da loro, per acquistare fama.
Quei due minuti di Cronkite mi sono venuti in mente in questi giorni. Riferiti a un contesto molto meno drammatico. Contesto di informazione minore, se vogliamo. Ma pur sempre informazione. Quella specializzata in fotografia. Il 23 di agosto Nikon ha presentato ufficialmente la sua nuova serie di fotocamere mirrorless. Già nei giorni precedenti, in rete, si potevano trovare informazioni dettagliatissime. Informazioni, oramai non è un segreto per nessuno, volutamente fatte filtrare da sapienti uffici stampa. Già su questi rumors si sono scatenati youtuber e blogger millantando servizi esclusivi. Quando, poi, Nikon ha rilasciato il comunicato stampa, tutti, con voglia di Pulitzer da “vorrei ma non posso”, a trinciare giudizi, esprimere pareri in esclusiva… dopo aver letto il solo comunicato della Casa, che tutti potevano trovare nel web. Cronkite non l’avrebbe mai fatto. E.P.